È suonata la sveglia della Bellezza.
È necessario passare da una visione riduzionista della realtà a una più completa di tutto ciò che ci circonda: salute, ambiente, scuola, lavoro, economia, impresa, cooperazione e comunità. Nel nome della Bellezza.
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Ci voleva una catastrofe planetaria come la pandemia da Covid 19 a farci uscire, o almeno così speriamo, da un sonno di profonda inconsapevolezza. Eraclito (535-475 A.C.) ci ricorda che gli svegli sono coloro che non si fermano alle apparenze, a una visione parziale della realtà; anzi probabilmente non la sanno proprio cogliere. Eppure pare che, in questi ultimi decenni, la maggioranza dell’umanità si sia cullata in un dormiveglia soporifero rispetto alle conseguenze del proprio agire: sono i Dormienti di Eraclito…“Uomini a cui rimane celato ciò che fanno da svegli; allo stesso modo di quando non sono coscienti di quel che fanno dormendo”. (Frammento 1, Sulla Natura, H. Diels – W. Kranz, I Presocratici, Einaudi, 1976).
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Chi, tra epidemiologi e virologi, aveva previsto una calamità mondiale come quella causata dal coronavirus? Nessuno, almeno tra quelli che avevano la possibilità di farsi ascoltare a livello nazionale o internazionale. Su un altro fronte ricordo la domanda posta dalla regina Elisabetta ai più importanti economisti del mondo, in occasione di una sua visita presso la London School of Economics nel novembre del 2008: come mai non avete previsto la più grave crisi economica degli ultimi 80 anni da poco scoppiata nel mondo? Nel generale imbarazzo, nessun scienziato dell’economia seppe dare una risposta soddisfacente e dimostrarono – e forse fu una delle prime volte – sia quanto il dibattito in campo economico fosse sganciato dalla realtà, sia il fallimento dei modelli previsionali mainstream.
Abbiamo passato gli ultimi decenni a convincerci che la soggettività individuale, liberata dal condizionamento dei valori rigidi delle appartenenze ideologiche, religiose e di classe, potesse lanciarci verso un successo senza limiti, nelle dimensioni e nel tempo. Indubbiamente la spinta “individualista” di milioni di soggetti ha sprigionato un’enorme energia, che ha fatto crescere i numeri con i quali si monitorano gli indicatori di andamento delle economie, come il Pil.
Sono cresciuti la produzione, l’occupazione, la ricchezza depositata nei forzieri bancari, i consumi, le opportunità, la possibilità di avere tempo libero, l’impressione di libertà. Insieme ai dati di “crescita”, è aumentata pure la convinzione di invincibilità, di invulnerabilità degli umani o almeno dei benestanti, di coloro che vivono nell’agiatezza. E così avanti con le super specializzazioni, con la convinzione che ogni individuo possa essere un’isola autonoma capace di badare a se stessa; e che ogni professione possa auto sostenersi ed essere indipendente. Profetico è il poeta e avvocato John Donne (1572-1631) “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso, ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra” (Poesia “Meditazione” ).
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Pazienza se, in questo processo, il divario tra ricchissimi e mediamente poveri sia aumentato; e siano andate “perse” porzioni significative di umanità, le “scorie” più volte rammentateci da papa Francesco. E che pena per chi, come i pochi esponenti dell’economia civile, ideata dall’italiano Antonio Genovesi (filosofo - economista, 1713-1769), sostiene che il bene comune e la “pubblica felicità” debbano avere la priorità.
Che pena, davvero, per gli esponenti della cooperazione autentica, quella che mette insieme le persone per trovare in autonomia risposte efficaci ai propri bisogni, di lavoro, di credito, di acquistare merci a prezzi adeguati, di energia, di commerciare i propri prodotti agricoli....Bisogni che richiedono Manager Desti, Manager capaci di servire servizi e non solo profitto. Tra i rari manager d’eccellenza Chester Barnard, Presidente della Bell Thelephone, fin dal 1937 in una serie di conferenze all’Istituto Lowell di Boston ha chiarissimo ciò: “Il fine non è il profitto nonostante che gli uomini di affari, gli economisti…, i politici persistano nel dichiarare inesattamente la finalità… il fine obiettivo di ogni organizzazione non è il profitto ma i servizi (C.J, Barnard, The Functions of the Executive, Harvard University Press, 1938).
Dunque la vera cooperazione non colloca fra i suoi primi obiettivi il profitto aziendale ma la crescita morale, culturale, sociale ed economica dei propri soci e della comunità di insediamento. Fuori del tempo, finiti? E che pena per le comunità periferiche, di pianura e di montagna, che si sono viste via via impoverite di opportunità di lavoro, di servizi sanitari, scolastici, postali, bancari... e quindi lentamente si spopolano.
Quante critiche, quando non addirittura sorrisi ironici o dileggio. E adesso che trauma il “risveglio”. Sì, il risveglio di quell’umanità convinta di essere padrona incontrastata di cielo, terra, acque, salute ed economia. Già peraltro emergeva che la saga della soggettività aveva perso progressivamente la sua spinta che sembrava infinita.
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La consapevolezza che il Pil misurasse tutto, «fuorché ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta» (Robert Kennedy), si è fatta strada e si è cominciato a rendersi conto che la provvidenziale “mano invisibile” che avrebbe riequilibrato tutto non funziona, e l’economia mondiale è un gigante dai piedi di argilla: un mastodontico castello, ma di carte. Eravamo davvero convinti che l’epoca del “bracconiere” (Zygmunt Bauman), di un predatore insensato della risorsa della quale vive, potesse andare avanti all’infinito.
Ecco allora l’emergere di un «vero e proprio disagio antropologico, fatto di pulsioni sregolate, di solitudini e ripiegamenti in se stessi, di perdita e nostalgia dei punti di riferimento tradizionali, di immobilismo in un eterno presente» (Giuseppe De Rita). Ecco il dilagare planetario delle disuguaglianze patologiche, ecco l’aumento delle povertà relative e assolute. Allora forse il Covid 19, tra tanto dolore seminato in milioni di famiglie alle quali va un pensiero di solidarietà, tra le devastanti conseguenze economiche, ci ha aperto gli occhi sulla nostra fragilità, sul fatto che siamo tutti interconnessi e sulla necessità di guardare la realtà con occhi diversi. Sul fatto dunque di svegliarci e di divenire Manager Desti e Antifragili, capaci di prevenire "l'Inatteso” e di superarlo migliorati come educa il matematico e accademico di Oxford Nassim N. Taleb, Antifragility, 2012.
La pandemia ha impresso una forte accelerazione a processi di cambiamento che erano all’orizzonte e che è bene prepararsi ad accogliere. Sul fronte del lavoro sarà decisiva una crescita di competenze sociali e relazionali, di ascolto e di comprensione, come nel Grande dittatore di Charlie Chaplin: «Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità».
Tutto ciò ci farà ridare peso e valore alla Bellezza, non solo quella “cristallizzata” nel nostro straordinario patrimonio artistico, ma anche quella che dobbiamo ritrovare dentro ciascuno di noi, nelle nostre famiglie, nel nostro mestiere, nelle nostre relazioni con gli altri. Sarà questa Bellezza a generare quella fiducia nel futuro di cui abbiamo estremo bisogno. Una Bellezza che necessariamente nasce “prima dentro”, per dirla con Chester Barnard che parte dal Codice Morale del Manager Desto per poi creare la “Bellezza” fuori, per gli altri: “La caratteristica distintiva… del Management capace è che esso…non richiede solamente di conformarsi ad un complesso codice di principi morali ma anche di creare codici morali per gli altri”.
Abbiamo bisogno, in poche parole, di Manager Desti che attuino il sogno reale della Bellezza:
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"Tutti gli uomini sognano, ma non nello stesso modo. Coloro che sognano di notte nei ripostigli polverosi della loro mente, scoprono, al risveglio, la vanità di quelle immagini; ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi perché può darsi che recitino il loro sogno ad occhi aperti, per attuarlo". (T.E. LAWRENCE, Seven Pillars of Wisdom", 1922).
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